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res_gestae_giuliano_il_grande
Autore: Ammiano Marcellino
Titolo: Le res gestae di Giuliano il Grande
Collana: Paganitas
Prezzo: 27,00€

 

Nato ad Antiochia, greco-asiatico, soldato per molti anni, neoplatonico stoicizzante, Ammiano Marcellino scriveva in latino ma pensava in greco. Ultimo grande storico nella tradizione latina, Ammiano continuò le storie di Tacito con trentun libri, dalla morte di Domiziano in poi. Restano gli ultimi diciotto, fra il 353 dominato da Costanzo e Gallo, e il 378, con il disastroso Valente e la battaglia d’Adrianopoli che dà all’opera una triste chiusa. [...] I fatti sono raccontati con scrupolo di verità (Ammiano è, per comune consenso che dura ancora oggi, uno storico serio, attendibile e, nel complesso, abbastanza imparziale), ma coi modi della creazione artistica [...].

Ammiano è conosciuto dai più come storico abbastanza equanime di un grande personaggio la cui figura turba anche l’immaginazione dei posteri. E l’Imperatore Giuliano, l’unico che Ammiano ammiri. [...] Costanzo Augusto se lo associa, col titolo di Cesare, ponendolo al governo delle Gallie in subbuglio. Giuliano le pacifica e le sue imprese vittoriose danno ad Ammiano l’occasione di inserire nelle sue Storie un altro e minore De bello Gallico. Non era ancora Imperatore, che già si diceva di lui, come Ammiano racconta, che era un Tito per la prudenza, un Traiano per la gloria bellica, un Antonino Pio per la clemenza e un Marco Aurelio per la disciplina virtuosa. Salito fortunosamente sul trono, vi resta meno di due anni, e muore a trentadue. Ripristina, l’ultima volta, il culto degli dèi come religione di Stato; è l’impresa che gli conferisce una celebrità perpetua. [...]

Sul campo, condivide il pasto dei soldati, accontentandosi, se occorre, di ‘un piattino di polenta’. Domina con l’autorità e si trascina dietro in deserti torridi, da una battaglia all’altra, soldati senza paga. Sa dire ai soldati scontenti, prima della battaglia, che l’Impero romano è diventato, da ricchissimo, poverissimo; anche l’Imperatore è povero; deve esigere molto e dare poco in cambio. La colpa è dei vili che hanno smunto le casse dello Stato per comprare la pace ai barbari. Perciò occorre combattere, non fare concessioni ai barbari, sperare soltanto nei premi conquistati con le armi. [...]

Se non vi fosse stato Ammiano, conosceremmo poco la grande figura di Giuliano, o la conosceremmo nelle deformazioni dei suoi avversari (culminanti nella leggenda del ‘Galilaee, vicisti!’). Per quanto i successori l’abbiano immediatamente tradito, Giuliano per Ammiano resta esemplare, anche se gli fa alcune critiche per impegno di oggettività. Ammira in lui il soldato, il filosofo, il capo intransigente nella difesa dell’Impero, di territori e valori di religione e di cultura. [...] Quello di Ammiano è un paganesimo senatoriale aristocratico e universitario; resisteva in centri di studi come Roma e Alessandria e nella parte colta dell’aristocrazia senatoriale in Roma. [...] Ammiano nomina con ammirazione senatori pagani come Simmaco e Pretestato; se nomina i cristiani, il suo tono è oggettivo. Da buon pagano di quel secolo, accettava ogni genere di spiritualismo sincero, qualunque fosse il simbolo del quale si rivestisse il sacro.

I generalissimi dell'Impero romano d'Occidente

Autore: John Micheal O’Flynn
Titolo: I generalissimi dell’Impero romano d’Occidente
Collana: La Genealogia
Prezzo: 28,00€

 

“Il presente studio riguarda il periodo in cui la parte occidentale e la parte orientale dell’Impero romano iniziarono a percorrere strade distinte: questa lungo la direzione che l’avrebbe portata a diventare l’Impero bizantino, quella avviandosi verso la disintegrazione da cui sarebbero emerse le strutture politiche dell’Europa medievale e moderna [...] In Occidente, a causa del prolungato distacco degli imperatori da un esercito in cui l’elemento germanico diventava sempre più imponente e della graduale crescita del potere dei Barbari entro le frontiere dell’Impero, grande rilievo assunse quella serie di influenti generali che, in assenza di un imperatore dotato di qualità militari, furono in grado di conquistarsi, e mantenersi, la lealtà delle truppe [... ] La presente ricerca circoscrive il fenomeno del trasferimento del potere supremo dall’imperatore al suo comandante in capo, al fine di osservarlo da un angolo visuale che consenta l’analisi sistematica sia del suo processo evolutivo sia dei metodi impiegati in successione degli esponenti della nuova ‘autorità effettuale’ per consolidarla e formalizzarla [...] Lo storiografo moderno avverte la necessità di impiegare una unica parola per descrivere l’unicità di questo fenomeno.

Ai fini del presente studio, propongo dunque di applicare a questa incarnazione della nuova ‘autorità effettuale’ il termine ‘generalissimo’. Esso mi sembra particolarmente appropriato ad esprimere il ‘portamento’ di un supremo comandante militare che attribuisca a sé stesso l’autorità-potere di penetrare in profondità, attraverso strumenti assolutamente extracostituzionali, in dominii extramilitari, ossia ‘civili’, appellandosi esclusivamente al proprio arbitrio volitivo [...] Fra gli orientamenti cui si ispirano i vari approcci moderni, due rappresentano la polarità delle valutazioni dell’operato di questi ‘Signori della Guerra’.

Da una parte vi è la propensione a considerare l’intera fase di questi officiers de fortune alla luce degli effetti che ne scaturirono, e pertanto a vedere nei generalissimi gb agenti della disintegrazione della pars Occidentis dell’Impero. Dall’altra parte si colloca l’orientamento di riconoscere ai generalissimi il merito di aver mirato a costruire un nuovo assetto etno-politico attraverso l’amalgama di elementi romani e di elementi germanici. In definitiva, entrambi gli orientamenti appaiono soggettivi e, come tutti i tentativi di emettere giudizi di valore sugli eventi storici, manifestano le ‘passioni’ di coloro che b esprimono: nel primo caso, una Sehnsucht per ciò che stava decadendo; nel secondo, una simpatia di fronte a ciò che stava emergendo dalla decomposizione di un organismo politico-sociale ormai estenuato [...] Col presente lavoro mi sono proposto di esaminare il fenomeno deba traslazione del potere supremo dall’imperatore al generalissimo, sottraendomi alla tentazione di giudicarlo: per confermare la propria validità, infatti, qualunque giudizio richiederebbe una visione del mondo secondo gli occhi di un autore di storia quale Stilicone, Aezio, Ricimero -non mediante gli occhiali di uno scrittore di storia..

J.M. O’FLYNN

ingravalle

Autore: Ingravalle Francesco
Titolo: Per una primavera di bellezza. Due fioriture. Una infiorescenza.
Collana: La Gualdana
Prezzo: 12,00€

Il testo qui pubblicato è tratto da una conferenza tenuta il 5 aprile 2019 agli studenti dell’ “Istituto Gonzaga” di Milano su invito del prof. Massimo Maraviglia.
Il testo intende gettare uno sguardo su un momento teorico e pratico delle vicende italiane e sulla interpretazione del pensiero di Friedrich W. Nietzsche sviluppata da Gabriele d’Annunzio. Un momento di cento anni fa, momento in cui erano politicamente possibili molte cose; simili momenti si sono ripetuti, poi, nel 1968 e nel 1977, prima che iniziasse la ‘grande entropia’ degli anni Ottanta e Novanta del XX secolo e che il primo ventennio del XXI secolo ne costituisse l’apice.
Si rievoca, qui, un brevissimo frammento del nostro passato per indulgere alla contemplazione di quello che poteva essere e poi non è stato. Tuttavia la rammemorazione, nucleo significante del sapere storico, non è inutile se e riesce a fendere e diradare, almeno in parte, il buio nebbioso di oggi (e degli anni a venire che ci è dato di indovinare).Ci conforta il pensiero che Nietzsche abbia poste in epigrafe del suo libro Aurora queste parole dei VEDA:

“Ci sono molte aurore Che ancora non sono sorte’

 

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