Il mechànema* del potere

“Perché noi (il ‘noi’ accentuato in modo lagnoso e seguito da una pausa) – abbiamo (idem) – il diritto (idem) – di manifestare. Ci vogliono (idem) – impedire (idem) – di far sentire (e qui l’effetto lagna è ingigantito da una rimetta che più petulante non si può) – la nostra voce.” Eccetera eccetera, le cose che si dicono: non è questo il punto. Saranno una ventina, fuori da un’aula studio. Vestiti al solito modo, di chi cerca di mimare la libertà ma non ha l’aria di sopravvivervi, alla libertà, se arrivasse davvero. Mentre il lidèr si lamenta al megafono, si allargano sulla strada, un’arteria del centro della città, gonfia soprattutto di autobus e tram. Un autobus sterza per evitarli, approfitta dell’altra corsia, poi si rimette in carreggiata. Volevano bloccare il traffico come qualche mese fa, quando protestavano contro la Gelmini, ma sono troppo pochi. Ci ripensano. Tornano sul marciapiede. Finiscono lì di sfogarsi, di sfiatare. Ci mettono pure poco. Intorno, un paio di poliziotti, nella proporzione, se non del pastore con le pecore, del capo scout con il suo sèguito. Naturalmente potrebbero irrompere, ammanettarli tutti quanti, portarseli a fare due chiacchiere in caserma. La Questura è a cento metri, anche meno. Non lo fanno – e questa è la cosa più inquietante. Li lasciano tentare di bloccare il traffico, che dopo le 17 è pieno di gente scazzata che vuole solo andare a casa a farsi una doccia e dimenticarsi le otto ore di più o meno deprimente lavoro. La regola è sempre quella, il trucchetto beffardo e terribile: lasciate che tutti bercino perché tutto resti come prima. E il prima di adesso è peggiore di quello del principe di Salina. La furbata, oggi, – la paralisi – è devastante.

*Cfr. quell’espediente della “rettorica” sottilmente riconosciuto da Carlo Michelstaedter nell’“Esempio storico” de La persuasione e la rettorica: “Conveniva trovare un μηχάνημα per sollevarsi fino al sole, ma – ingannando la gravità – senza perdere il peso, il corpo, la vita”.

05/05/2011