Ljubov Popova (1889-1924) mostra fin da fanciulla una propensione al disegno che la sua famiglia, di un ‘milieu’ colto e raffinato, incoraggia facendole impartire presto lezioni di pittura da un maestro. Il suo iter scolastico è rapido e già nel 1908 la vediamo entrare in un atelier di affermati pittori. Riferimenti e fonti di studio sono per la Popova, che con la sua spiccata personalità arriva ben presto a sviluppare un proprio stile assai marcato, i primi maestri italiani, Giotto fra tutti, e poi quelli dello splendore fiorentino del ‘400 e ‘500. L’artista di Mosca si sofferma, poi, in uno studio ‘vivo’ (da artieri e non da storici), sull’antica icona. Pittura italiana e icone vengono studiate dalla Popova con una serie di viaggi: 1909 nelle città russe, 1912-14 a Parigi e in Italia.
Già nel 1912 entra in contatto a Mosca con artisti dell’avanguardia e vi aderisce compiutamente, con una rapida assimilazione di temi e tecniche, prima cubisti e futuristi, in seguito ‘suprematisti’. Il ‘suprematismo’ di Kazimir Malevič pare ispirare lo stile estremamente definito della Ljubov Popova: sulla tela sono sovrapposti e intersetti piani – fatti da velature di colore – che suscitano visioni nude, antiprospettiche, puramente astratte. Questi piani scelgono i colori apicali e classici: porpora, celeste, oro, e sono ritmati, nella visione, da altri piani interconnessi in nerofumo. Come squarci o baleni sulla tela si aprono, qua e là, settori di un bianco cristallino e luminosissimo. Il colore diviene elemento primario di una definizione dello spazio: esattamente come, a tutt’altra latitudine artistica, la nota musicale ‘assoluta’ nella composizione di Alexander Scrjabin.
Nelle visioni su tela della Popova può quasi intuirsi il metodo dell’anamnesi platonica: attraverso i piani di vari colori l’occhio ora procede, ora si arresta su di un manto nerofumo, quindi ricerca, di nuovo, l’avvio del movimento, per trovare lo squarcio balenante del bianco, che crea colla sola qualità del suo colore una fuga prospettica verso la luce – l’idea! – che tutto il quadro illumina – dall’interno. Campiture di bianco con figure geometriche assai semplici, quadrilateri e triangoli, e tracciati rettilinei. Assenza totale di caos anche nell’apparente irregolarità dei tracciati. Il processo di astrazione è reso dalla Popova con una ingenuità estrema e culmina in una ‘astratta architettura del colore’.
L’osservatore accorto di queste tele non può non avvertire la presenza di un ‘animus’ che è invincibilmente arcaico-ellenico: i geometrismi muti delle forme, vivissimi nel colore, indicano, adombrano l’evocazione – nel tempo dell’avanguardia russa – di quegli enti (i baleni bianchi!) cui la grande architettura ellenica erige i suoi templi dall’invulnerabile armonia. Enti, numi, presenti e invisibili, che animano pitture, ornamenti di vasi, geometrismi di decorazioni che l’archeologo postumo contemplerà.
E se, come sappiamo, il numinoso aleggia pure nella Dacia di Eminescu e di Codreanu, così come ispira le decorazioni geometriche di vasi e frammenti italici arcaici dei musei irpini, pare non inadeguato decorare la coperta di un libro del capo legionario e di un libro sui masnadieri carbonari irpini con un “Omaggio a Ljubov Popova”.
Curzio Vivarelli
1 marzo 2011