Requiem

E’ morto, anche se una sorta di riguardo ci fa bruciare la lingua mentre lo diciamo. Ma è morto. Piaccia o non piaccia. Non un sacrificio umano, peggio: un sacrificio aumano, il sacrificio del meraviglioso, del superiore rispetto alla misura umana. Con lui è morto tutto. Se volessimo essere coerenti, dovremmo bruciare intere biblioteche, tutti i libri che diano conto di quello stupore, di quel meravigliarsi per il prodigio.

E’ morto tutto. Perfino il ricordo dell’altro tempo, dell’altro modo di concepire il mondo. E’ l’inferno in terra, dietro la facciata svenevole e cordiale che hanno preso le cose, le persone, le letterature, le filosofie.

Il grande Pan è morto? Peggio, mille volte peggio. Quello è morto da millenni e ce n’eravamo abituati. Adesso è morto il ricordo del grande Pan, è morto il rimpianto del grande Pan, la nostalgia del grande Pan, quell’umano nell’uomo che era come un riverbero del grande Pan e degli dèi olimpi.

E’ morta l’idea di forma, l’idea di armonia, l’idea di ordine. Del mondo classico ci è rimasta solo la guerra, il ‘pòlemos’ eracliteo. Ma al posto nostro la faranno i disperati, che ne Il campo dei santi arrivano a frotte, a nugoli, a sciami, a devastare tutto, a corrompere tutto, a contaminare tutto. Groppi di genti lacere e sudice, che emettono grugniti gutturali e scomposti e irrompono, con la pazza gioia di devastare, di castigare, di godere il proprio posto al sole, tra il Colosseo e le cattedrali gotiche, tra il Partenone e Stonehenge. Con la gioia incosciente e perfida di essere nuovi del posto. Arrivano, irrompono, nel vecchio mondo già rotto, già dimentico, già ignaro di sé, già dubbioso di tutto, che non combatterà perché non si ricorderà nemmeno il motivo per cui sarebbe giusto combattere. Solo terrore animale, nel vedere saccheggiata la propria roba, predate le proprie femmine, sfasciate le proprie cabriolet. Non verrà la saetta di Apollo in aiuto dei pallidi europei, né la glaucopide Atena, né Artemide la cacciatrice, né Demetra la generosa, né Persefone la fiorente. Verrà solo una morte completamente buia, uniforme, terribile: una colata di oblio.

E’ morto non Pan, ma l’ottativo aoristo. Non ha più senso voler pensare e suonare nella lingua di Apollo e di Persefone. Non deve esserci più il greco nella mischia dell’apocalisse. Pan è morto, l’ottativo aoristo è morto, e neanch’io mi sento molto bene – più o meno le cose stanno così, come diceva un guitto che la mareggiata degli ultimi non risparmierà.

15/04/2011