Voci di vetta

Bene. E’ successo. Anche le riviste culturali online non sono tanto in forma. I lettori sono calati, l’attenzione è ora tutta per i social network, in cui sentirsi assieme e scambiarsi due parole e, sempre più spesso, link a youtube, è dolce, vellutato, rassicurante. Vicini vicini. Come cuccioli della grande cucciolata di mammo progresso, mugolanti, festosi, che si mordicchiano la collottola a vicenda. Le orecchie piene di parole, gli occhi di facce, foto, foto di tramonti, di neonati, di fiori, di magliette del Milan.

Il mercato dei libri – dicono – impazzirà. E’ già in caduta libera. La tavoletta lo sta stroncando. O sarà la crisi. L’intellighenzia potrà ancora per un po’ chattare e linkarsi video musicali, ma una piccola, oscura angoscia serpeggia, nonostante l’ottimo lavoro di certi agenti letterari, sempre più mammi anche loro.

Mala tempora currunt e la prova è il fatto che tra poco occorrerà google per cavarsela con la traduzione di questo aureo motto latino. Mala tempora: ma le poche voci che meritano di essere ascoltate, considerate, magari imparate a memoria in un sacrosanto esercizio di venerazione, languono nella nicchia, o – peggio, peggissimo! (mala, mala tempora proprio…) – sono cosa tra le cose. Con gli autori non è come con i fiori, che quelli del melo possono anche battere la svenevole, sofisticata orchidea. Gli autori non possono essere ammucchiati. Non va bene. Non si capisce più niente. Il più reboante nasconderà il più composto, misurato, silenzioso (può un libro essere silenzioso? Eccome se può. Per la sua Lady Macbeth, Verdi chiedeva in una lettera: “una voce muta”. Che voce doveva intendere! Tipo Janis Joplin quando attacca “Cry baby”). Il più furbo oscurerà il più coraggioso. Il più ruffiano farà dimenticare il più severo e sano. E così via. Finché un mare di voci, un oceano di voci, un oceanomare di voci, ora stridule ora insinuanti, ora isteriche ora morbose, avrà sommerso quelle delle anime di vetta che, pure, il Novecento ha avuto.

Qualcuno conosce Antonia Pozzi, poetessa di cristalli, morta suicida a ventisei anni, quasi un guanto gettato al mondo che si stava deteriorando, un po’ come, a un altro livello, Luigi Tenco? Quanti? E Carlo Michelstaedter, altro suicida (stavolta a ventitré anni), altro indice levato contro la storia? (No, meglio non continuare con i suicidi: potrebbe sempre succedere come con il film “17 ragazze”, che si inneschi il fenomeno imitativo…) E la Venere di Botticelli della letteratura italiana, Cristina Campo? E l’impeccabile, insuperabile pensatore reazionario Nicolás Gómez Dávila? Ogni suo aforisma è verità, anche se la verità non è a misura d’uomo (neppure Gómez Dávila lo è, a misura d’uomo, angelo prigioniero della gravità: per understatement, probabilmente). E altri ancora, così superbamente antimondani da non poter neanche essere nominati senza che alla corte chic degli intellettuali venga il singhiozzo?

Non piangete, accorati/e donne e uomini di cultura; non angustiatevi perché la lettura sta morendo uccisa dalla tavoletta. Tirate fuori dal mucchio dei civettuoli i seri, i profondi, i lucenti. Provate, almeno. Io non ho mica la bacchetta magica, da dare la soluzione certa al problema del rincretinimento culturale italiano. Dico solo che, fossi in voi, proverei.

18 aprile 2012