Amo l’Italia e amo gli uccelli selvatici (di Sputacchina)

Già il titolo è curioso e si presta a offrire le sue brave suggestioni. ‘La mia battaglia perché l’Italia fermi la barbarie contro gli uccelli’ si urla in corpo 20 e qualcosa. Vado a pag. 23, favoleggiando già dentro di me circa gli estremi della barbarie. Magari da un giorno all’altro c’è stata una recrudescenza del femminismo più spinto. Magari nella capitale casalinghe disperate ed esasperate hanno imbracciato le roncole delle nonne e si sono scagliate contro le migliori parti degli amici, mariti, amanti o addirittura dei parenti. Magari a Milano una squadra di escort ha privato definitivamente la classe politica di mordente. In epoca di femminicidio è giusto e comprensibile, sono un po’ girati i coglioni. E poi l’articolo è a firma di Jonathan Franzen, romanziere americano di successo, idolatrato collaboratore di riviste e compilatore di lemmi di dizionari moderni, vincitore dell’International IMPAC Dublin Literary Award e del Welt-Literaturpreis e candidato a qualche altro centinaio di menzioni che ora come ora non ricordo. Mi immagino dunque grandi cose. Intrecci shakespeariani che squarcino il cielo e la terra e personaggi assolutamente larger than life. Grandi, grandissime, enormi, smisurate tragedie, finalmente. Più che shakespeariane, addirittura – di dimensioni e respiro americano, come si dice. Che mescolino insieme le famose esse del giornalismo – sesso sangue soldi – in un’atmosfera dilatata dai canyon, dalle cascate, dai camion e da tutte quelle robe lì. Storie che facciano venire l’agorafobia. Le vogliamo, subito.

E vogliamo subito immergerci anima e corpo nella scrittura di un mostro sacro. Sì. Perché io Franzen non l’ho ancora letto. Già. Mi vergogno anche un po’. Sarà che ho avuto molto da fare negli ultimi anni, o qualcosa di inconscio mi ha bloccato, o che so io, ma si è sempre interposto qualcosa tra me e lui, e io, al giorno d’oggi, rientro tra i semianalfabeti che non l’hanno conosciuto, nemmeno sotto forma di racconto. Non è mancanza di volontà. Li ho anche ordinati in biblioteca, i capolavori; li ho ordinati, aspettati e da brava sono andata a ritirarli, ma così come sono andata a ritirarli sono andata anche a ritornarli, un mese preciso dopo, senza che purtroppo avessi potuto farci altro che portarli a spasso a prendere un po’ d’aria, senza aver avuto l’occasione nemmeno di aprirli, i capolavori, che definisco così sulla fiducia, perché in fondo stavolta voglio fidarmi, dell’opinione pubblica, e degli oggetti d’idolatria, dei premi letterari e delle riviste americane. Ho troppa fame di romanzo e troppa voglia di uscire dalle tenebre dell’ignoranza.

Affamata di romanzo, dicevo, già con un certo tremore alle vene e ai polsi e un pochino di sindrome di Stendhal per partito preso, comincio giusto dall’ultimo capoverso dell’articolo, che di solito riassume tutto quanto il contenuto saliente di un pezzo, e che di solito, quando si tratta di romanzieri, contiene il volo, il climax, il gran finale.

“I prossimi giorni sono cruciali” scrive dunque Franzen. “Il Senato dovrà scegliere fra la proposta di governo e gli emendamenti delle associazioni ambientaliste.”

Si capisce che la questione è politica. Di massima importanza dunque. Ancora più interessante. Proseguo con attenzione, riga per riga, lentamente, per assaporarmi al meglio la cosa. Trattengo il fiato.

“Questo è il momento di dire” pausa “al presidente del Consiglio Matteo Renzi” pausa “di non mancare l’opportunità che si presenta” pausa “di fare dell’Italia un Paese più sicuro” pausa “per gli uccelli migratori.” Pausa.

Un’altra pausa.

Poi me ne salto svelta più in su di qualche riga. Mi mordicchio il labbro. Lo sapevo. Vuoi vedere che anch’io, a forza di stare sui libri, ho contratto quel maledetto vizio idiota di incrociare le righe che ti fa leggere bestialità e fischi per fiaschi, e per cui dovrebbero dare un sussidio di invalidità per tutte le figure da scemo che procura alla gente. Aguzzo lo sguardo. Segno col dito, come alle elementari. Ricomincio da capo a rileggere. Guarda tu, uno vuol farsi trasportare da una grande scrittura, è già lì tutto compreso e i contrattempi lo interrompono sempre sul più bello.

“Questo è il momento – di dire al presidente del Consiglio Matteo Renzi – di non mancare l’opportunità – che si presenta – di fare dell’Italia un paese più sicuro – per gli uccelli migratori.”

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“Questo è il momento di dire al presidente del Consiglio Matteo Renzi di non mancare l’opportunità che si presenta di fare dell’Italia un paese più sicuro per gli uccelli migratori.”

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“QuestoèilmomentodidirealpresidentedelConsiglioMatteoRenzidinonmancarel’opportunitàchesipresentadifaredell’Italiaunpaesepiùsicuropergliuccellimigratori.”

Non può essere.

Vado al principio dell’articolo e me lo studio tutto da cima a fondo. E poi quando ho letto tutto l’articolo me lo rileggo un’altra volta. E poi mi leggo anche gli occhielli, e poi i sunti. Leggo il commento a fianco – di una giornalista italiana, non di Franzen. Leggo negli angoli. Leggo la pagina prima. Per disperazione leggo anche la pagina dopo. Vorrei correre alle previsioni del tempo. Ma non si scappa.

Davvero Franzen lo pensa sul serio, quello che ha scritto.

Che è il momento di fare dell’Italia un paese più sicuro. Per gli uccelli migratori.

Insomma, non per le donne, che tra aggressioni, violenze, mobbing, multitasking, lavoro, famiglia, palestra, ricatti, stupri, omicidi, stragi ce l’hanno davvero durissima.

Non per i disoccupati, che dopo un po’ vorrebbero poter avere delle sicurezze, come quelle del posto fisso, o come minimo di qualche contrattino a termine ogni tanto, o come minimo qualche prospettiva, o la speranza di una prospettiva, o la speranza della speranza di una prospettiva.

Non per i ragazzini, che con tutti gli squilibrati che girano non possono neanche più andare nella palestra dietro casa da soli che arriva appunto il Bossetti di turno, e se si fanno accompagnare arrivano i bulletti di turno, dunque non c’è mai pace.

Non per i pensionati, che, già c’è l’età, poi tra tutte le oscillazioni sul tema pensioni non capiscono più un tubo, poverini, nemmeno se percepiranno ancora qualcosa dallo stato oppure no, nemmeno se è notte o giorno, e sono in balia delle sirene delle badanti, ed è il massimo dell’incertezza, una noche obscura all’ennesima potenza.

Non per tutte quelle categorie di lavoratori che fra un po’ saranno sostituite da applicazioni digitali o dio sa cosa e saranno mandate a spasso da quel buon geniaccio di Zuckerberg.

Non per gli studenti, che si chiedono dove sono, cosa li aspetta, cosa studiano a fare, che orientamento sessuale hanno e milioni di milioni di altre questioni filosofiche.

E insomma non per un qualunque italiano medio, che le sue brave e legittime richieste ed esigenze di sicurezza ce le ha di sicuro.

Nossignori. Per gli uccelli migratori.

Perché il punto, a sintetizzare il pezzo, sarebbe il seguente. Tanti cacciatori, sparsi lungo la penisola, adottano ancor oggi una vecchia pratica che consiste nel catturare uccellini migratori, delle specie dei merli, delle allodole, dei tordi sasselli e bottacci e delle cesene, quelli che cantano particolarmente bene per capirci, e di utilizzare le loro virtù canore per attirare altri uccelli migratori a cui sparare. Per far questo anche nelle stagioni autunnali e invernali, una volta catturati i volatili sopracitati, li sistemano in gabbie buie per lungo tempo, in maniera tale che gli stessi tordi, una volta riportati alla luce dell’autunno, siano convinti che sia primavera, e finalmente usciti cantino a più non posso (non per niente si chiamano tordi, d’altronde), attirando dunque le prede desiderate dall’uomo.

Certo, non è il massimo della lealtà e dell’ortodossia da parte del cacciatore. Certo. Far scambiare l’estate di san Martino per l’estate vera e propria è un’operazione da gente senza cuore. Certo, l’immagine di una bestiola selvatica stretta in una gabbia al buio e nel silenzio può muovere a compassione anche i titani più sordi e cinici. Certo, a chi è che non piace il pennuto selvatico – intendo quando se ne va libero e felice nell’aria, beninteso. Il frullo. La libertà. Lo spazio. L’elevazione. Il sole. Le nubi. Il vento. L’amore. Lucio Battisti. Certo, ci sarà sicuramente un nutrito mercato nero di uccelli da richiamo – come c’è in ogni dove e per ogni oggetto e possibilità, fitto e inestricabile.

Però, come dire. Il fatto che, come racconta Franzen, in Parlamento venga discussa questa proposta, che siano state consegnate la bellezza di cinquantamila firme per abolire la barbarie, che ci siano più associazioni per proteggere gli animali che per creare posti di lavoro e che addirittura la Commissione Europea in carne e ossa, seria seria, si sia impelagata in un dibattito sull’utilizzo dei richiami da parte dei tanti cacciatori italiani (tanti? Sarebbe curioso anche capire dove la vedono, poi, tutta questa marea di cacciatori. Che sta diventando più che altro una specie in via di estinzione da raccomandare al wwf…), che abbia, sempre la Commissione Europea, aperto una procedura d’infrazione contro l’Italia anche se in teoria e fino a prova contraria non c’è ancora un vero e proprio veto in proposito, e che si discuta di fischietti sì o fischietti no, e che un romanziere americano di successo, idolatrato collaboratore di riviste e compilatore di lemmi di dizionari moderni, vincitore dell’International IMPAC Dublin Literary Award e del Welt-Literaturpreis e candidato a qualche altro centinaio di menzioni che fortunatamente continuo a non ricordarmi, su La Repubblica impieghi due fitte e inestricabili colonne per parlare di questo, mi getta nell’incertezza. Quel che è peggio, senza nemmeno metterci dell’estro, della poesia, della passione, della vivacità, dell’altezza (va bene, niente sangue e niente sesso, ma parlava comunque di uccelli e di natura, e parlando di uccelli e di natura uno si aspettava un volo, almeno minimo, almeno poteva persuaderci e ingannarci con un po’ di meraviglioso, una venuzza pascoliana, che ci avrebbe incantati e gli avrebbe fatto perdonare il tema trattato, e invece no, niente) cominciando con un memorabile “Amo l’Italia e amo gli uccelli selvatici, e vorrei tanto che questi miei amici potessero andare più d’accordo”. Non so perché, ma tutto questo mi desta una distorsione percettiva pari quasi a quella che devono subire le esche da richiamo. Mi sento un merlo tenuto al buio nella bella stagione. Mi sento trattata da tordo. Comincio a chiedermi se le giurie dei premi americani e svizzeri siano appassionate di birdwatching e se per caso decidano i vincitori di un concorso a naso in su nel pieno di una radura e se compare un fagiano vince uno scrittore maschio e se compare una colomba una scrittrice. Se sia una strategia dei consulenti di Barroso e i colleghi: distrarre l’attenzione su temi zoologici così magari si pensa meno alle problematiche dell’euro, e a uscire o meno dallo stesso, a protestare in proposito e a immaginare diversi scenari economici. Comincio a capire anche perché si parli di realismo isterico per Franzen. E perché uno dei suoi libri si chiama Zona Disagio. Ma capire non porta nessun giovamento. Almeno a me.

E poi, come in ogni momento di nervosismo, comincio a sentire un po’ di gusto di selvaggina. Non tanto quella dei tordi inconsapevoli. Ho bisogno di masticare qualcosa. Visto anche che Franzen ha lasciato a bocca asciutta la mia fame di romanzesco. E ho un buco nello stomaco – quello dell’anima, ma è un po’ sempre la stessa storia. Ma come si può fare, con tutti questi impedimenti, con tutte queste sigle – Lipu, Lac, Lav, Cabs eccetera eccetera – e i parlamentari che ci si mettono in sovrappiù? E che non hanno ancora deciso che cosa si possa utilizzare per procacciarsi del cibo cristiano? In attesa, lancio un’idea. Ai cacciatori professionisti e anche a quelli amatoriali. E anche agli sfortunati campeggiatori che magari si sono persi nei boschi e non hanno di che mangiare, e stanno per morire, ma magari si sono portati dietro qualche buon libro da leggere. Niente uccellini da richiamo. Niente tordi, niente allodole, niente merli e niente cesene. E niente fischietti, nemmeno. E sai cosa? Nemmeno proiettili. Nemmeno fucili. Una cosa naturale naturale, come ai vecchissimi tempi, quando non era ancora stata inventata la polvere da sparo e forse neanche la scrittura. Una cosa a costo zero, che risveglia le migliori qualità dell’uomo – energia, concentrazione, slancio, perfezionismo -, che non inquina la Terra ed è ecologica al massimo, e, se può lasciare un tantino sconcertati quelli della Lipu, quelli di Legambiente li fa felici di sicuro. Semplice: utilizzare i libri di Franzen, una volta presi in biblioteca, che poi, se non mi ricordo male, sono anche corposi, anzi, lo saranno di sicuro, visti tutti i premi guadagnati, come arma contundente. Arriva una beccaccia? E zac!, dietro arriva anche ‘Forte movimento’ (nomen omen, vedi che bene). Una quaglia corre per il cielo? – zac!, a seguire ‘Libertà’. Una folaga, bianconera abitante delle zone lacustri? Zac! ‘Le correzioni’ oppure ‘Più lontano ancora’, ottimi nel caso in cui ci sia stato un errore di gittata, perché le folaghe possono combinare questi scherzi. Poi, una volta abbattuta in maniera nature la dolce preda e recuperata palpitante, a piedi, insieme al volume che ha fatto il suo dovere, il cacciatore la raccoglierà amorevolmente, ringraziando Iddio, gli dei, le forze della Natura, o quello che vuole lui, per l’esattezza del proprio braccio, per il sacrificio dell’animale che lo nutrirà, per l’ennesimo giorno di vita che potrà trascorrere sano e in forze. E, sì, d’accordo, anche per Franzen, ché se non fosse stato per lui sarebbe morto di stenti. Il cacciatore si riconnetterà al suo essere originario e più puro. Si riscoprirà uomo autentico. Dopodiché aprirà a pagina sessanta e accenderà un bel focherello per cucinare. Ah. Queste sì che sono buone letture.

Che peccato essere quasi vegetariani.

Sputacchina

06-07-2014