Presentazione

Una idèa senza il confine di una parola
1963-2023: i sessant’anni di Ar

1963. Solo diciotto anni dalla fine della guerra dei fascismi. A Padova, nel quartiere Arcella, ci sono ancora i crateri delle bombe angloamericane e il cielo ha il ricordo dei cerchi di fumo di ‘Pippo’, il liberatore inglese che mitragliava i civili italiani.

Le Edizioni di Ar nascono il 9 dicembre 1963. Franco Freda ha affittato una ex-rimessa in una strada lunga e sfatta del centro di Padova, via (nomen omen…) Patriarcato, vicinissima al Liviano di Gio Ponti, in piazza Capitaniato. Si ritrovano lì tra fuoriusciti  del movimento neofascista, il M.S.I., per lo più ragazzi tra i diciotto e i vent’anni  ‒insieme a un ex-brigatista nero ed ex-reggente di ‘Ordine Nuovo’. La realtà è minuscola, ma è l’idèa, secondo Freda (glielo ha insegnato il Maestro, Julius Evola) che deve giudicare la realtà, non viceversa. Infatti, il nome che il gruppo si dà è un auspicio anagogico: Ar. Ar è il radicale di quei termini di origine indoeuropea che esprimono il vigore fisico-morale (aretè, in greco), sino ad arrampicarsi nelle implicazioni immateriali di esso: i vocaboli ordine, rito. Un radicale linguistico, germe intemporale di significato da integrare nel tempo, da sigillare con il proprio operato. Perenne, arcaico, ma pronto a innestarsi nel nuovo presente che lo voglia, e sappia, assumere. Una idèa senza il confine di una parola: chiunque sia abbastanza schietto e lucido è in grado di comprenderla, indovinarla e tradurla in azione   ‒un radicale non è circoscritto: rimane in attesa della propria espansione. L’idèa  ‒‘semplice’, in fondo ‒ del Bene-Bello come l’avrebbe  contemplata, e coltivata, un Elleno.

Ar significava stare nel tempo senza esaurirsi in esso. Ispirarsi, nel tempo, alle migliori virtù umane (o dovremo dire aumane, tanto ci sono, qui, lontane?). Dunque, ogni sabato sera, al posto dei festini col mangiadischi, letture rituali in via Patriarcato  (dai membri del gruppo ridenominata via Patriarchìa). Nietzsche, Evola, la biografia di Federico II del Kantorowicz…A leggere è Freda, con la sua voce da basso. Altro che “così è se vi pare”: così è e così deve essere, costi quel che costi in termini di spiacevolezze. Non si poteva accettare che il mondo precipitasse verso la vita comoda, la competizione dei minimi termini, a chi si comprava prima la nuova Seicento, a chi beveva più daiquiri al tavolino di un bar. Si era alzata una nuvola di cipria che neppure l’atomica americana: si rischiava di non vedere più il sole. E Leonardo, genio riconosciuto, che in tempi non sospetti aveva proclamato: “No si volta chi a stella è fiso”. In Italia stava scoppiando mezza guerra civile il giorno in cui spararono a Togliatti: allora si poteva intuire come sarebbe finita. “Se si tolgono all’uomo le sue catene, si libera solo un bruto”   ‒ci ricorda l’abrasivo Nicolàs Gòmez Dàvila, pubblicato da Ar nel 2007.

Ma le catene dell’uomo non devono necessariamente essere le lambiccate analisi del filosofo razionalista, che vuol salvare capra e cavoli mettendo insieme l’ineffabile e la sua ‘dimostrazione’. La verità è ai  confini con l’irrazionale. È come un radicale linguistico, come il radicale ar: va indivinata-indovinata, non può frantumarsi in porzioni di comoda ingestione. Deve turbare   ‒sostiene Nietzsche, autore-cardine di Ar. Ma chi legge il Saggio sull’ineguaglianza delle razze umane, primo libro pubblicato dalle Edizioni di Ar, deve sapere che non ha di fronte i discendenti degli inglesi che seviziavano i boeri nei primi campi di concentramento della storia   ‒e capire che si tratta, in fondo, di una terapia d’urto per uscire dalla palude del dopoguerra. C’è il libro e c’è il lettore: tra di loro un destino, forse, di consonanze.

Dopo sessant’anni, Ar splende nel suo altrove (ora una gattabuia, ora Nubicuculia) come un unicum, per libertà di pensiero e sincerità di azione. Sessant’anni che pubblica libri obbedendo alla passione del cuore e al diletto della mente   ‒non alla “fregolata brama di cumular denari”.