Le Edizioni di Ar, Meyrink e la Grande Guerra

Suona singolare che quest’epoca moderna che ha perso tutto, riti, poesia, volontà, immaginazione, conservi invece ancora l’abitudine di onorare gli anniversari. Non si crede più in niente e in nessuno, ci si sente figli solo di se stessi, si vuole non dico il qui e ora ma l’oggi e basta, si scappa da tutto, compresi il proprio tempo, la propria mente, le proprie terre, eppure non si ha ancora il coraggio di spazzare via il passato, con la sua zavorra di biografie e ricordi. Di fare la mossa coerente e decisiva che alzerebbe la mongolfiera. Sembra che il passato, per quanto guardato con sospetto e con un tantino d’astio, sia una specie di oggetto transizionale; che pure l’uomo moderno slegato da tutto, cane sciolto per eccellenza, indipendente, autonomo, randagio e finalmente libero, debba trascinarsi dietro questa coperta con cui ripararsi di tanto in tanto, quando spira il vento e sente un po’ freddo.
E così il 2014 multiculturale progredito e pacifista ricorda e fa ricordare l’inizio della Grande Guerra. Del conflitto che cento anni fa ha annerito per la prima volta i cieli mondiali e propagato a poco a poco le fiamme di quegli scontri che sarebbero stati enormi, davvero larger than life, pochi anni dopo, e avrebbero parlato di questioni spaventose, bellissime e terribili, come il Dioniso dei Greci, e che come Dioniso sono periodicamente fatte a pezzi dalla modernità affinché non tentino di riformarsi.
Conoscere per poter pensare; pensare per non dimenticare; non dimenticare per non perdonare. E infine non perdonare per ben decidere in futuro – questo l’iter mentale, vagamente simile al proverbiale cane che si morde la coda, che tendenzialmente accompagna le conferenze a tema volontari di guerra, battaglie sul Carso, reduci, alleati, imperi centrali e simili.
Però, in tutto questo, ben compresi nello sforzo di non dimenticare, ci si scorda spesso che non per ogni cosa esistono spiegazioni comode, razionali e a portata di mano. Che tutte le analisi sull’economia, la geografia, la società e i trasporti del primo novecento, per quanto umanamente utili e certo culturalmente curiose, non mettono un punto alle domande che ci si pone. Le leggi sensibili di causa-effetto, così buone per le Scienze, non sempre funzionano in Storia. La spiegazione tanto agognata non si trova. O forse non è umana.
Le Edizioni di Ar preferiscono ricordare l’anniversario della Grande Guerra con uno scritto-gioiello di Gustav Meyrink, esoterista austriaco. Un racconto che si dipana rapido e inquietante, come certi sogni e certe nuvole del cielo crepuscolare. Uno scritto che non dà punti fermi, non promette, non avvicina, non spiega e semina tra le steppe dell’Asia tutta la nostra brava razionalità e il positivismo.
“Ci mettemmo ai bordi di una sopraelevazione del terreno che somigliava a un tavolo.
Mi chiese se avessi un fazzoletto bianco con me.
Frugai invano nelle tasche: solo nella fodera della giacca rinvenni, tutta sbiadita, una vecchia carta geografica dell’Europa (probabile che l’avessi indosso per tutto il tempo del mio viaggio in Asia). La dispiegai in mezzo a noi, chiarendo al Dugpa che il disegno raffigurava la mia terra nativa.
Questi scambiò un rapido sguardo con la mia guida, e di nuovo colsi sul viso del tibetano quella maligna espressione di odio che già avevo notato la sera precedente.
Mi domandò se desiderassi vedere la magia dei grilli.”
Perché è probabile che le cause siano tanto più grandi dell’uomo e se ne infischino di farsi prendere. E che l’uomo debba perdere le sue sicurezze e la sua fermezza da imprenditore, che l’hanno portato gloriosamente fino a questo 2014, per diventare davvero fermo e sicuro. E che del suo conoscere, del suo pensare, del suo non dimenticare, e soprattutto del suo perdonare o meno, certe forze e storie non sappiano davvero che farsene.

23-09-2014