I testi di Julius Evola

A metà degli anni ’80 del secolo scorso, così scriveva Dino Cofrancesco, concludendo un’analisi sulla ricezione del pensiero evoliano: “Sprofondato in un mondo lontano anni luce dal nostro, il seguace di Evola può smarrire del tutto quella disposizione all’accordo, quel minimo di pragmatismo e di flessibilità richiesti non solo dalla partecipazione politica, ma anche da quella ‘collaborazione sociale’ che si richiede a livello di società civile. Tutto preso dai suoi archetipi eroici e aristocratici, l’evoliano potrebbe coltivare in sé un pathos della distanza suscettibile di diventare un cattivo consigliere. Sicché invece della torre eburnea dello studioso solitario [...] potrebbe venirgli in mente il gesto esemplare, significativo del suo profondo disprezzo verso la società mercantile di massa. Anche qui va sottolineato il potrebbe. Il cosmo evoliano è aperto a tutto. L’allucinazione vi sta di casa, ma non la banalità ‘nostalgica’, né il guasconismo neofascista.”